Dopo aver parlato delle certificazioni dedicate ai filati sostenibili entriamo nel vivo esaminando alcune fibre da cui si ricavano filati da maglieria e tessitura a basso impatto ambientale. Oggi scoprirete con noi la fibra di bambù e come questa è potenzialmente la più sostenibile di tutte.
La specie di pianta di bambù utilizzata per la produzione tessile è il Phyllostachys heterocycla pubescens, comunemente nota come il bambù Moso. Le maggiori coltivazioni di questa pianta si trovano in Cina.
Avete mai avuto tra le mani un prodotto 100% bambù?
Lucente come la seta, morbido, antibatterico, resistente, traspirante, assorbente.
Una delle sue caratteristiche più funzionali è proprio quella di essere antibatterico. Questa caratteristica è data da un agente, presente naturalmente al suo interno, chiamato bambù kun, che assolve una naturale funzione deodorante bloccando la proliferazione dei batteri origine di cattivi odori. Motivo per cui i capi di abbigliamento in bambù sono più igienici e rimangono più freschi e profumati, anche rispetto ai capi in cotone e altre fibre vegetali.
La pianta di bambù è una risorsa rinnovabile, cresce rapidamente, arrivando alla maturazione in 3-4 anni. Non necessita di pesticidi o fertilizzanti, poiché non è soggetta a invasioni di organismi maligni ed è altamente infestante, se poco controllata, una piantagione di bambù, può prendere velocemente il sopravvento. Necessita del 30% di acqua in meno di una piantagione di cotone, e ricordiamo che le piogge non mancano nei luoghi nel quale il bambù viene coltivato. Dunque, per la crescita, si accontenta principalmente di acqua piovana. Assorbe elevate quantità di biossido di carbonio, lo trasforma in ossigeno e lo rimette in natura.
Ci sono due modi per trattare il Bambù, più o meno sostenibili per ricavarne fibre e poi filato. Come per il rayon, le fibre di bambù possono essere trattate chimicamente per produrre “viscosa di bambù”, oppure si può ricorrere ad un processo meccanico di trasformazione. Il procedimento meccanico consiste nella frantumazione delle parti legnose della pianta, rese poltiglia da enzimi naturali, ottenendo in questo caso un “lino di bambù”. Il processo chimico è più economico e veloce e sembra quindi più frequentemente utilizzato, ma anche meno sostenibile per via dell’impiego di sostanze chimiche necessarie alla trasformazione.
Due esempi di filati in viscosa bambù prodotti dalla filatura Cotonificio Olcese Ferrari per maglieria e tessitura, sono i filati Kelp e Hempy che mescolano una viscosa bambù ad altre due fibre naturali e sostenibili: la canapa e il seacell ricavato dalle alghe del mare.
PER RIASSUMERE:
- Nessun pesticida, insetticida o fertilizzante viene utilizzato nella coltivazione
- Utilizza quasi esclusivamente acqua piovana per crescere (pensiamo che il cotone che utilizza fino a 2.700 litri di acqua per una singola maglietta)
- Non ha bisogno di vasti territori per la coltivazione in quanto cresce molto densamente nel territorio che abita
- Produce il 30% in più di ossigeno e assorbe più anidride carbonica rispetto agli alberi
- Cresce fino a un metro al giorno con alcune specie che crescono fino a 30 m di altezza
- Nuovi steli possono essere raccolti più e più volte, senza dover seminare nuove piante ogni volte vista la sua riproduzione veloce e costante, rendendo il bambù una delle materie prime più sostenibili al mondo.
Fonti dei dati e delle informazioni